martedì 24 luglio 2007

Una questione di gusto

Mi incuriosiscono sempre i nick di coloro che frequentano i forum o le chat, e spesso ne domando il significato. Ignoro invece i profili, perché raramente ci rivelano qualcosa di chi li compila. Spesso sono semplici, noiosi elenchi. E, generalmente, quanto più sono dettagliati tanto meno sono utili. Perché nei profili le pulsioni non hanno freni: uno ama leccare le suole delle scarpe, l’altro va pazzo per gli abbigliamenti fetish, quello per il fisting, quell’altro per lo spanking, e quell’altro ancora per tutt’e due. Embè? Chi c’è dietro quelle pulsioni?

D’accordo, cerchi una dea in latex che ti calpesti e ti prenda a ceffoni. Auguri. Ma tu chi sei? Come vivi? Che idee hai? Che studi hai fatto? Lavori? Leggi i giornali? Vai al cinema? Cosa pensi dell’amministrazione Bush? Che cosa ti viene in mente se qualcuno nomina la Baia dei Porci? Una spiaggia per vecchi e ricchi puttanieri? Tutte queste cose un profilo non le dice.

Il nick è più loquace perché, a differenza del nome con il quale siamo registrati all’anagrafe o del soprannome che ci hanno affibbiato gli amici, ce lo siamo scelti noi. Un nick è, in qualche misura, uno specchio della nostra personalità (piccolo come quello che usano le donne per rifarsi il trucco ma pur sempre uno specchio). E naturalmente, non è detto che rifletta una bella personalità. Ma i nick mi interessano pure perché sono simili a un disegno o a un volto: parlano in modo sintetico, lasciando trasparire anche ciò che vorremmo tacere.

Certo, moltissimi nick sono rivoltanti. Prenderei a pedate tutti quelli che invece di uno pseudonimo si sono scelti un’etichetta: feticista, masochista, feticista-masochista, feticista-dei-piedi, feticista-delle-mani, feticista-masochista-cuckolded, slave-feticista-sanfedista-coglione… Una mia amica ce l’ha in particolare con i sub: dice che le ricordano quelli che fanno immersione e, a immaginarseli davanti con la muta addosso, la maschera e le pinne, le viene da ridere. Ma lei è di animo generoso. A me sub fa venire in mente subnormale.

Il mio amico axel mi rimprovererebbe che non è bello ironizzare sulle fantasie altrui. Ma, in realtà, io non ho niente contro le fantasie. Anzi! C’è uno che va raccontando, un po’ in tutti i siti, che gli piace farsi passare il ferro da stiro caldo sopra il corpo. Forse ha ragione Miss-Monica a dire che è matto. Ma a me è simpatico, perché ha raccontato una cosa che non avevo letto prima e lo ha fatto senza chiasso (anche se, intendiamoci, io dico la safeword se solo mi si chiede di stirare le camice).

Insomma, è il modo in cui certe fantasie vengono espresse che mi suscita il riso, e allora non resisto: perché esibizione e ingenuità sono sempre una colpa. La mancanza di gusto, di stile, di educazione, di civiltà è segno che la persona in questione non ha fatto nessuno sforzo per migliorarsi: magari ha scolpito il suo fisico (come usano dire oggi i rotocalchi femminili), ma non ha saputo scolpire il suo intelletto.

C’è, però, anche chi sa essere relativamente esplicito e originale nello stesso tempo. Faccio due esempi. Uno è sottobosco. Si è scelto un nick evocativo, che in una chat normale apparirebbe enigmatico ma in una femdom room non lascia adito a dubbi sulle sue tendenze. Però nel sottobosco nascono tanti buoni frutti, e il nick suggerisce che nel suo animo c’è molto da scoprire. Mi è simpatico. A una donna capace di leggere nella mente di un uomo, uno così non passa inosservato.

L’altro nick è gonnarosantico. Questo è ancora più chiaro. Si capisce subito che a quest'uomo interessa il travestitismo. Però lo dice con eleganza, usando una sineddoche: la parte per il tutto. Non mette davanti la sua pulsione. Offre piuttosto se stesso, e se ne sta lì, con grazia, ad aspettare come farebbe una cameriera d’altri tempi. Una padrona, leggendolo, se lo può immaginare vicino, pronto al suo servizio, già bell’e abbigliato. Peraltro, ha scelto un bel colore (che talvolta in chat cambia, dimostrando di avere un ampio corredo non solo di abiti ma anche di idee). È la servetta giusta per una signora un po’ aristocratica.

(foto theFrenchMaids.net)

sabato 14 luglio 2007

La grande donna nuda di Lachaise

La fotografia qui accanto raffigura una statua di Gaston Lachaise, ospitata nel giardino delle sculture del Museum of Modern Art di New York (il MoMa): in assoluto, uno dei posti più belli al mondo dove andare. La statua, in bronzo, è del 1932, s’intitola Standing Woman, è alta circa due metri e trenta centimetri, e larga oltre un metro. Ne parla anche Gloria Brame in un suo articolo che si può leggere in traduzione su Femdom Italia.

Perché mi piace questa scultura? Anzitutto per le sue dimensioni e la sua gravità: questa donna nuda si colloca con decisione nello spazio, e lo riempie di sé. Non guarda in alto, verso il cielo: non le importa niente dei mondi superiori, non ha niente di spirituale. È pura materia e vive totalmente in essa. È materia nel senso odierno, quasi tecnico, del termine (tanto gradito alla critica d’arte contemporanea). Ma lo è anche nel senso originario, pagano, di sostanza prima da cui sono formate le altre.

Già. Materiam, manum, matrem: sono tutti termini collegati fra loro dalla medesima radice. La materia appartiene all’ambito di ciò che è misurabile (non a quello delle idee): ha un’estensione, un peso, una forma, una consistenza, un contorno… Può essere toccata, accarezzata, manipolata... È così perché è stata generata: dalla natura o con mano. Se le idee hanno bisogno di un principio paterno, maschile, la materia non può fare a meno di un principio materno, femminile.

Ecco, il significato di questa “donna nuda” – come la chiama semplicemente la Brame – sta qui, nell’immagine di questa madre che plasma la materia. Anzi, l’ha già plasmata, e ora non ha nemmeno bisogno di contemplarla. È raccolta in se stessa, paga della sua grandezza, piantata nel suolo e con il capo che sfiora le nubi, come le vette delle montagne, giacché lei stessa è una montagna.

Ma perché è così “calma” la signora di Lachaise? Perché, per quanto intimamente nuda, non prova alcuna vergogna? Perché nella sua assoluta nudità fisica ci appare più potente delle tante regine della pittura rinascimentale avvolte in sontuosi vestiti?

Perché questa signora è cosciente che i nostri destini discendono da lei: è una donna in “carne e ossa” con gli attributi femminili splendidamente ingigantiti e, nello stesso tempo, è la Dea Madre, la Madre Terra, il principio vitale per eccellenza, l’origine carnale e intellettuale dell’umanità e dell’universo. Non a caso è tanto più grande di noi! Ci è superiore nell’aspetto fisico e ci è superiore per la potenza creatrice che si sprigiona dai suoi larghissimi, incantevoli fianchi… Che voglia di abbracciarla, di stringerle le ginocchia!

La signora di Lachaise è l’essere oltre misura che genera ciò che è misurabile. Eh sì, come per tante civiltà antiche, anche per Gaston Lachaise, l’origine della vita è femmina. (Anche femmina è una gran bella parola: è probabilmente da collegare a foetum e a fecundum, e indica colei che fa essere e che nutre. Insomma colei che dà origine alle cose e agli uomini.)

Ma questa imponente signora è una madre buona o una madre cattiva? Né l’una né l’altra. La “donna nuda” di Lachaise vive in un mondo che precede ogni altra cosa: viene prima della storia, prima della cultura, prima della guerra dei sessi, prima di tutto. È un mondo che sta “al di qua” del bene e del male. E che non ha ancora fatto la conoscenza di quell’altro gigante che fu Friedrich Nietzsche: un mondo che non conosce il crepuscolo degli dèi, perché in esso gli dèi non sono ancora nati. Lei non li ha partoriti, ha partorito solo uomini: esseri, come lei, immensamente superiori al più maestoso degli dèi.

Sì, dobbiamo percorrere a ritroso la storia dell’umanità, se vogliamo sbarazzarci dei luoghi comuni che ci accecano anche nei fatti più banali dell’esistenza quotidiana. Bisogna avere il coraggio di compiere quella “regressione lungo i gradi dell’essere” di cui parlava Pasolini, per riscoprire la verità della nostra storia e della nostra anima. Chi ritorna da un lungo viaggio nel passato, dopo aver rivissuto tutte le tappe della nostra civiltà, sa che non c’è nulla da temere ad abbandonarsi a quel flusso amorevole che è l’eros. E ciò qualunque sia la forma che esso ama prendere nel suo imprevedibile percorso.

venerdì 6 luglio 2007

Al diavolo gli zerbini... (se sa cosa farne)

Ogni tanto qualcuno, leggendo quello che scrivo nei forum o in chat, mi domanda: ma tu non sei slave? E, regolarmente, mi tiene una lezione su come dovrebbe comportarsi un bravo schiavo per fare la felicità della sua padrona, e soddisfarne ogni desiderio o capriccio. Perché la volontà di una padrona è legge. Già, però, io non sono slave. Sono masochista! Porca puttana, non è la stessa cosa.

Fondamentalmente, della sottomissione non me ne frega niente. O, almeno, non me ne frega niente di quel tipo di sottomissione che nei forum SM viene presentata come ideale. E ancor meno, se possibile, me ne frega della sottomissione come stile di vita.

Anzi, mi girano i coglioni se vedo un uomo atteggiarsi a zerbino; mi fanno schifo vermi, insetti, umili, inetti e incapaci. Scoppio a ridere se qualcuno accenna a parlare di superiorità femminile. Mi guardo bene dal porgere l’altra guancia se ricevo uno sgarbo (semmai pecco per eccesso di difesa: restituisco più dell’offesa subita) e, se devo mandare a cagare un deficiente, lo faccio con gusto, senza complessi di colpa. Be’, no, questo non è vero: lo mando a cagare, poi però i complessi di colpa li ho, eccome. Tutto considerato, sono per natura un uomo gentile e affabile.