domenica 20 maggio 2007

La fragilità di una signora

A quelli come me piacciono le donne dominanti, che sanno comandare, si divertono a metterti in imbarazzo, adorano batterti e vederti ai loro piedi, inerte, arrendevole, pronto a rinunciare alla tua volontà… Questo lo sappiamo. Ma come è fatta questa donna dominante? Per nostra fortuna, non ha niente da spartire con le rivoltanti fissazioni delle immondizie pornografiche.

Le donne dominanti non si trovano su You Tube o su DivShare, non si trovano nemmeno nelle porcate di Sacher-Masoch (il contorto, odioso, maniaco romanziere che, suo malgrado, ha dato il nome alla nostra stupenda natura e che oggi ricordiamo solo per quello).

Le donne dominanti hanno un’incantevole, profonda, sofferta fragilità. Tutte. Senza eccezioni. Ed è in quella umanissima fragilità che affondano le radici del loro potere. (Sono donne dominanti. Ma donne! Perché lo dimentichiamo tanto spesso?) Oh, è vero, ognuno di noi è fragile e vulnerabile nel segreto della sua anima. Ma le donne dominanti lo sono in un modo speciale, tutto loro. Perché sanno trasformare la fragilità in forza. Ti insegnano che anche nella debolezza si può essere grandi, anche nella depressione si può conservare il senso della dignità e che quando il mondo ti crolla addosso non puoi, non devi perdere l’autostima.

Eh, sì, c’è tutto un maledetto rituale che ci inganna, c’è un copione da imbecilli che pretende che la donna dominante sia sempre sicura di sé, algida, superiore, forte, determinata, decisa… Ma queste sono madornali stronzate. Se soltanto le guardassimo qualche volta negli occhi queste donne dominanti! Spesso sono estremamente riservate, addirittura timide, magnificamente incerte. Ne ho conosciute alcune bellissime che pure, nell’intimità, ti confidano di sentirsi brutte: non si piacciono, non si trovano affatto sexy. E tu ti domandi come sia possibile, e le ami ancora di più, ti senti ancora più servo per quella confidenza che tu, al loro posto, non saresti mai stato capace di fare. Spesso queste donne dominanti sono ipersensibili e hanno dentro di sé tante piccole o grandi cicatrici, tante tremende ferite. A volte hanno un’incredibile paura di soffrire, di gettarsi in un nuovo amore, di perdersi e perderti… Tutte quelle spine, quelle sciagurate, squisite spine… Rinuncereste a una rosa per le spine? Io, mai.

Adoro queste donne dominanti perché la loro fragilità non solo non diminuisce il loro potere ma, se possibile, addirittura lo rafforza. Mi sento più sicuro a sottomettermi a una signora che non mi nasconde la sua debolezza. Perché una donna così sa cogliere anche la mia debolezza, e la rispetta. Sì, certo, anche a lei può capitare di ferirmi (quanto male, dannazione, ci facciamo per amore!). Ma non mi ferisce mai per cattiveria.

sabato 19 maggio 2007

Mi piace parlare...

Mi piace, dopo aver giocato, parlare con la mia signora, chiederle che cosa ha provato, quali sensazioni ha avuto. Magari non subito. Perché, a volte, dopo una sessione ci si sente spossati. Si ha voglia di altro: di coccole, di carezze, di baci, di sesso. Quello, in genere, non è il momento di conversare. Però il giorno dopo, una settimana dopo, quando capita… mi piace chiederle, domandarle.

Io credo di aver ormai imparato a conoscere il mio corpo. So che cosa mi accade dentro. E mi piace raccontarglielo, se vuole, perché ricordare vuol dire rivivere una bella situazione e soprattutto perché, ricordando, ci si conosce meglio, cresce la complicità e diventa poi più facile intendersi, anche senza parole.

Ma che cosa accade nel suo corpo, nella sua testa?

Sì, certo, mentre mi hai fra le tue mani, riconosco le tue reazioni. Le vedo o almeno le sento. A volte ti piace bendarmi gli occhi. So che nel fare questo provi uno straordinario senso di potere. Ma, con gli occhi bendati, i sensi sono ancora più vigili e attenti, sono pronti a cogliere ogni segnale, ogni indizio… Sento se ti piaccio, sento se i miei sussulti ti comunicano qualcosa (sai che non sono uno che si trattiene, non ho paura di manifestare il mio dolore). Sento se i miei lamenti ti eccitano, se quando ti imploro hai la sensazione che ti appartengo, che sono tuo…

Ma, nella parte più segreta di te, quella più intima dove nessuno può arrivare, che cosa succede quando mi batti? Ti piace far male, ti piace vedermi soffrire, questo lo sappiamo entrambi. È anche per questo che giochiamo insieme (giochiamo insieme per mille motivi ma fra quei mille questo è uno dei principali), e a me piace soffrire per te: è una cosa che mi fa impazzire.

Ma, dimmi, che cosa invece eccita te? I miei gridi, i miei gemiti? Le striature rosse sulle mie spalle e sulle mie natiche? Il sibilo della frusta? Ti piace trascinarmi fino al punto in cui non ce la faccio più e ti supplico di fermarti? Ti piace combattere con la mia resistenza? Ti eccita vedere un uomo inerte, nudo nel fisico e nell’anima, un uomo che non può nascondere niente, un uomo che costringi a essere vero? Che cosa davvero ti dà soddisfazione? Quale incantevole, perversa, estasiante molla scatta dentro di te?

E che forma acquista quella eccitazione? Che cosa genera dentro di te il senso di potere? Cosa avviene nella tua testa?

(In alto, La canzonettista, di Antonio Donghi)

domenica 6 maggio 2007

Che cos'è educazione

Sono un fanatico delle etimologie, perché l’origine delle parole aiuta a capire il senso di quello che diciamo e facciamo. E anche perché sono perverso: sono un feticista del linguaggio.

La parola “educare” è attestata per la prima volta nel XV secolo. Deriva dal latino educare, composto dalla particella e- (ex), che vuol dire “da”, “fuori”, e dal verbo ducàre (intensivo di dùcere), cioè “condurre”, “guidare”, “trarre”.

Educare significa insomma “tirare fuori”, “portare alla luce”, “far emergere”.

Spiega il dizionario etimologico: “educare vuol dire aiutare con opportuna disciplina a mettere in atto e a svolgere le buone inclinazioni dell’animo e le potenzialità della mente, e a combattere le inclinazioni non buone. Educare è cioè un condur fuori l’uomo dai difetti originali della rozza natura, instillando abitudini di moralità e di buona creanza”.

Bello, vero? La natura umana è di per sé rozza (e affanculo i miti di una bontà primitiva, comune a tutti gli uomini: quella è pura ideologia!). Ma dentro di noi abbiamo già presenti delle inclinazioni e delle potenzialità che possono rimanere nascoste e andare sprecate, oppure, grazie a un’adeguata guida, possono svilupparsi e fiorire.

La cosa triste è che da un uomo si può trarre fuori solo quello che custodisce già dentro di sé in potenza. Ciò che gli manca... be', amen, nemmeno la più tenace e santa mistress potrà mai instillarglielo. Questo almeno insegna la storia delle parole.